I DUE PILASTRI DELLA PRATICA YOGA
Abhyasa e Vairagya rappresentano negli Yoga Sutra di Patanjali i due pilastri della pratica yoghica (sadhana).
Abhyasa è un esercizio costante ed ininterrotto in cui non ci si scoraggia né ci si distrae facilmente. Il nostro corpo e la nostra mente necessitano, infatti, di una costante ripetizione per essere riplasmati, per abbandonare vecchi e dannosi schemi fisici e mentali ed elaborarne dei nuovi più benefici ed edificanti per la nostra esistenza e che ci conducano allo stato ultimo della non-mente. Lo Yoga è una disciplina, di fatto ciò che otteniamo in termini di equilibrio psicofisico ed evoluzione interiore è proporzionale a quanto e a come ci dedichiamo ad essa.
Vairagya è il distacco, il saper lasciare andare i propri attaccamenti. Ciò non significa isolarsi o diventare apatici ed indifferenti, ma saper riconoscere la natura transitoria di tutto ciò che fa parte della nostra esperienza di vita ed essere consapevoli che un giorno dovremo restituire tutto ciò a cui ora ci aggrappiamo.
Vairagya può essere inteso anche come la conquista di una visione più ampia delle e sulle cose, al di là del proprio personale e limitato punto di vista e dell'identificazione con esso.
Nella nostra pratica quotidiana, Vairagya è anche l’abbandono delle nostre aspettative su di essa, di qualsiasi tipo esse siano e che sono legate comunque alla dimensione dell’ego. Praticare per nutrire questa parte di noi, sebbene in una certa misura necessaria finché saremo incarnati in questa esistenza, rappresenta un enorme spreco di energia vitale oltre che essere potenzialmente dannoso. Di fatto la nostra sadhana ha già in sé stessa la propria ragione d’essere ed il proprio scopo, cioè la libertà interiore da ogni tipo di condizionamento, senza bisogno di aggiungere altro. Questo significa dedicarsi alla pratica con sincerità e devozione semplicemente per la pura Gioia di farlo ed essere grati per questa possibilità.
L'equilibrio tra sforzo e resa è la chiave per smettere di identificarci con i nostri pensieri e di scorgere al di là di essi la nostra autentica natura spirituale, il Sé (Purusha).
Credits: Pinterest picture
Nauli, lo Yoga che purifica
I contenuti di Facebook non possono essere mostrati in virtù delle tue attuali impostazioni sui cookie. Clicca su "Accetto e mostro il contenuto" per visualizzare i contenuti e accettare le impostazioni sui cookie di Facebook. Per maggiori informazioni, ti invitiamo a consultare la nostra Dichiarazione privacy. Clicca qui per ritirare il tuo consenso alle impostazioni sui cookie in qualsiasi momento.
La Nauli, detta anche l'onda, è una delle sei pratiche tradizionali di purificazione dello Hatha Yoga. Si tratta di una tecnica avanzata che va appresa con gradualità e ovviamente con la guida di un insegnante qualificato.
Esistono però anche altre tecniche più semplici, accessibili a tutti che tonificano e rigenerano il sistema digestivo ed aiutano in generale il corpo a liberarsi delle scorie accumulate. Un corpo purificato è sicuramente un corpo più sano e felice. Nello Yoga la "bellezza" del corpo non è qualcosa di puramente esteriore, stereotipato e superficiale, ma è legata al suo stato di benessere ed armonia interna. Questa disciplina con la sua straordinaria tradizione di saggezza ci ha trasmesso un insieme di tecniche, dalle più semplici alle più complesse, che una volta apprese in maniera corretta, ci aiutano a stimolare le naturali risorse del nostro corpo, la sua innata intelligenza e capacità di autoguarigione. E coltivare una "mens sana in corpore sano" è sicuramente un buon proposito per iniziare bene il nuovo anno.
Buona pratica!
Credits:
Benares Sunset - Thea Crudi
Ushapana, una pratica yogica di benessere quotidiano
Bevi acqua e stai in salute! L’acqua terapia è conosciuta in India fin dai tempi antichissimi. Gli antichi testi della tradizione la chiamano Ushapana (che significa bere acqua nelle prime ore del mattino: Usha: alba e pana: bere). In passato era considerata una parte integrante della routine quotidiana di ogni persona, e continua tutt’oggi ad esserlo nei villaggi e tra coloro che conoscono e adottano uno stile di vita in armonia con la Natura e i suoi principi.
Purtroppo a causa della cieca imitazione del modello della cultura occidentale e dell’illusione della comodità dovuta ad uno stile di vita sempre più artificiale, molte persone nelle aree urbane e semi urbane dell’India, hanno dimenticato questa semplice ma ancora valida chiave per una vita salutare. Bere acqua a stomaco vuoto la mattina presto ha molti effetti benefici, ad esempio a livello gastrointestinale. Se per ragioni dovute al lavoro o altre necessità ci alziamo più tardi, possiamo comunque eseguire questa pratica a qualsiasi ora appena svegli, bevendo acqua non appena ci si alza. Potete fare un gargarismo prima per sciacquare la bocca, ma attenzione non spazzolate i denti prima di bere l’acqua (una piccola parte delle sostanze accumulate nella saliva, su lingua e denti durante la notte, se ingerite in modo molto diluito con molta acqua, hanno un effetto stimolante sul sistema immunitario e sulla capacità del corpo di produrre anticorpi). Quindi, sedetevi e bevete l’acqua lentamente fino a sentire che lo stomaco è completamente pieno. Di norma si consiglia ad un adulto il cui peso sia intorno ai 60 kg, di bere almeno 1 litro di acqua (pari a circa 5 bicchieri) *. Le persone con un peso maggiore, dovrebbero bere circa 1, 25 litri, mentre le persone con un peso inferiore possono ridurre la razione a circa 3 bicchieri (640 ml).
All’inizio potreste trovare difficile bere tutta questa quantità d’acqua, ma non vi preoccupate. Cercate di bere quello che potete senza difficoltà. Con la pratica regolare la vostra capacità aumenterà in pochi giorni. Ovviamente l’acqua dovrebbe essere di buona qualità, meglio se conservata durante la notte in un recipiente fatto di rame.
La posizione seduta più adatta per questa pratica (specialmente per coloro che soffrono di acidità o costipazione) è Ukadu-asana, la posizione accovacciata a terra con piedi e ginocchia vicini tra loro, talloni distanti una decina di centimetri e gli alluci distanti circa quindici centimetri (in alternativa si può adottare la posizione della ghirlanda, Malasana)*. Comunque qualsiasi altra posizione comoda seduta va bene, purché la schiena sia diritta e non ci sia pressione a livello addominale. Se si ha del tempo a disposizione, si può eseguire ad ogni bicchiere la sequenza dinamica di posizioni Yoga chiamata TTK.
Dopo la pratica di Ushapana (in cui si beve fino ad un litro d’acqua circa)*, è necessario attendere circa 45 minuti prima di mangiare o bere altro (Il tempo di attesa può essere ridotto in proporzione alla quantità d’acqua bevuta)*.
È bene sottolineare che l’acqua non deve mai essere fredda di frigorifero, ma sempre a temperatura ambiente nei mesi estivi, tiepida o calda nei mesi invernali a seconda anche del nostro tipo costituzionale ayurvedico. *
L’acqua riveste un ruolo molto importante in molti processi vitali del nostro corpo. L’acqua terapia è anche una componente importante della naturopatia. L’Ayurveda, l’antica scienza della Vita, sorella dello Yoga, considera l’acqua come il nettare indispensabile per il sostentamento, il vigore e la vitalità del complesso corpo- mente. Ushapana è prescritta come tecnica di guarigione per lo squilibrio dei tre Dosha (Vata, Pitta, Kapha) che è la causa primaria di molti disordini e disturbi. Secondo l’Ayurveda, l’acqua è un efficace rimedio contro l’indigestione ad esempio. È importante però non bere acqua durante i pasti e subito dopo, ma attendere almeno un’ora e mezza dopo il pasto prima di berne ancora.
In generale inoltre, è di buon senso rapportare la quantità totale di acqua da assumere durante la giornata in base al proprio peso, all'altezza ed anche alla stagione. Ci sono varie teorie per calcolare il fabbisogno giornaliero: una di queste consiste nel moltiplicare ogni chilo del nostro peso per 30 ml, il risultato finale sarà l'acqua da assumere ogni giorno per una giusta purificazione e idratazione quotidiana. In ogni caso è sempre bene ascoltare il proprio corpo e avere consapevolezza dei suoi bisogni e della sua capacità di auto regolarsi.*
La spiegazione logica e scientifica dell’importanza di questa pratica è che lo stomaco e gli altri organi del nostro corpo, sono a riposo durante le ore di sonno, sebbene tutti i processi fisiologici e biochimici continuino in accordo con i nostri ritmi biologici. In particolare in questo lasso di tempo hanno luogo le attività metaboliche di digestione/assimilazione del cibo per cui le sostanze chimiche prodotte vengono distribuite nelle diverse parti del corpo attraverso il flusso sanguigno. In questa fase ha luogo il rilascio delle cellule morte ed il nutrimento di quelle nuove che è parte del metabolismo stesso. Visto che durante il sonno non c’è assunzione di acqua, alcuni degli elementi di scarto, le cellule morte e le tossine del corpo che sono dannose, non vengono completamente drenate fuori.
Bere acqua immediatamente dopo il risveglio in una quantità adeguata a riempire lo stomaco, ci aiuta a drenare tutte le tossine che si sono accumulate nell’organismo durante la notte. Quindi Ushapana rappresenta una naturale e quotidiana pulizia interna del corpo che ci aiuta ad alleviare tutti quei disturbi (digestivi, intestinali, relativi all’apparato urinario ecc.) causati appunto dai depositi di prodotti di scarto che si sono accumulati negli organi. Praticare Ushapana regolarmente, in assenza di disturbi, a scopo preventivo, ci aiuta a mantenerci in buona salute e a migliorare l’efficienza del sistema immunitario. Ed infine, questa semplice e meravigliosa pratica di benessere e guarigione, è alla portata di tutti e priva di costi.
Non ci resta quindi che metterla in pratica! Namaste
Credits:
Vedmata Gayatri Trust (TMD)
Pragya Yoga for happy healthy life, Pandit Shriram Sharma Acharya
* Nota tematica aggiuntiva al testo originale
Pinterest image
La pratica Yoga durante il ciclo mestruale
Creare la propria "tenda rossa" yogica
Il mondo dello Yoga è stato a lungo un mondo per soli uomini, almeno nelle sue origini classiche e ortodosse, molti secoli fa. Ancora oggi però, nel mondo occidentale soprattutto, si continua spesso ad insegnare e praticare applicando gli stessi paradigmi maschili, sebbene i corsi siano frequentati in prevalenza da donne.
Negli ultimi anni c'è stato fortunatamente un certo risveglio della consapevolezza, soprattutto da parte di alcune insegnanti, sul fatto che sia necessario adattare la pratica al corpo ciclico femminile e agli stadi della vita di una donna. Certo qualcuno obietterà che lo Yoga non ha genere, ma forse la questione è un po' più complessa di quanto sembri. Oggi lo Yoga, a differenza che in passato, è considerato una pratica per tutti. Nel 2016 è stato riconosciuto dall'Unesco come disciplina patrimonio dell'umanità con valore fortemente inclusivo e universale , proprio per questo anche gli aspetti storici, culturali della sua evoluzione vanno considerati, ed in base alla sua storia recente ( dal '900 in poi), tutto ciò che riguarda l'applicazione pratica dei suoi insegnamenti sul complesso corpo/mente merita di essere considerato e approfondito, anche in base al fatto che si tratti di praticanti donne o uomini.
Parlare di Yoga e femminilità oggi, potrebbe suonare a qualcuno perfino un po' pretestuoso, anacronistico, e démodé vista la tendenza sempre più marcata verso una politically correct neutralità di genere della cultura mainstream. Tuttavia la questione rimane aperta e non può essere ignorata.
Entrando più nello specifico del tema della ciclicità femminile, certamente oggi non si può parlare più di un tabù delle mestruazioni, come era ancora presente negli anni 80/90, quando venivano chiamate nella cultura anglosassone "the curse", la maledizione. Però ancora oggi molte donne vivono il proprio ciclo con un senso di estraniazione, indifferenza o come un'enorme seccatura, un qualcosa che rallenta la loro agenda piena di impegni, in certi casi con grande sofferenza fisica ed emotiva. Non c'è né tempo né spazio per il ciclo mestruale nella vita della donna di oggi, nel terzo millennio è ancora così, mentre altrove il progresso tecnologico ha già realizzato un prototipo di cyborg e di utero artificiale.
Come diverse autrici, pioniere del benEssere e della spiritualità femminile, affermano, a differenza di quanto comunemente si pensi, il ciclo è molto più di un mero processo fisiologico legato alla funzione riproduttiva. Ad un livello più profondo, esso ha in sé, sorprendentemente, una sua sacralità e potenzialmente una sua valenza evolutiva e spirituale. Nelle antiche tradizioni come quella dei nativi americani o come quella tantrica in oriente, le mestruazioni erano viste come un periodo speciale in cui le donne si ritiravano dal mondo ordinario e dalle sue incombenze pratiche per entrare in una dimensione introspettiva e meditativa, in un spazio di raccoglimento sia fisico ché interiore, la così detta tenda rossa o tenda della luna.
L'esperienza che ogni donna ha del proprio ciclo è molto intima, soggettiva ed unica.
Quindi nell'ambito della pratica delle Yogasana, ci sono diverse possibilità. Si può considerare l'idea in base al proprio sentire, di fare una bella pausa durante il ciclo, privilegiando magari la respirazione consapevole e lo Yoga Nidra. Oppure praticare lo stesso, ma con dei necessari ed importanti aggiustamenti. Le posizioni capovolte sono controindicate perché invertono la forza di gravità sul corpo e interferiscono energeticamente sulla funzione di uno dei cinque soffi vitali (Apana Vayu), che durante il ciclo non deve essere disturbata. Ci sono poi delle posizioni sconsigliate, perché troppo dinamiche. intense e "marziali", non adatte quindi ad un periodo in cui occorrerebbe rallentare, abbandonare ogni sforzo e accogliere ciò che avviene dentro di noi fisicamente, emotivamente ed energeticamente. In generale consiglio di prestare attenzione a ciò che sentiamo essere giusto per noi, ascoltare le proprie sensazioni e iniziare a sviluppare una maggiore consapevolezza di quelli che sono i ritmi ciclici ed energetici del corpo femminile.
Invito soprattutto le praticanti nella loro routine a chiedere sinceramente a se stesse: durante le mestruazioni pratico perché sento che ciò mi fa stare bene? Perché ciò mi supporta in questo periodo complesso e speciale o solo perché sento di "doverlo fare", perché la pratica va avanti ( e anche la mia agenda) lo stesso indifferentemente se ho o non ho le mestruazioni? In che rapporto sta la mia pratica con il fatto che mensilmente il mio corpo attraversa una fase fisica ed energetica di purificazione e rinnovamento? Sono indifferente e proseguo con la mia solita tabella di marcia, oppure mi do il tempo necessario per fermarmi e accogliere con consapevolezza il cambiamento di ritmo e cosa il mio ciclo ha da insegnarmi su me stessa e sulla mia femminilità? E se ripensassimo la nostra pratica periodicamente come la nostra sacra "tenda rossa" yogica?
Uno spazio speciale di ritiro, interiorizzazione, meditazione, esplorazione e comprensione del nostro essere cicliche? Pensiamoci, non è poi così strano, anzi è assolutamente naturale. Non sorvoliamo sulla questione come spesso siamo state abituate a fare...
Se consideriamo lo Yoga come un processo di espansione della consapevolezza a livello del corpo, della mente, delle energie sottili micro e macrocosmiche che sono in noi, non possiamo certamente ignorare, quel processo ciclico fondamentale di vita/morte/vita che sono le mestruazioni, non possiamo rimanere indifferenti di fronte al flusso e riflusso energetico che attraversiamo mensilmente e nelle fasi della nostra stessa esistenza. Una pratica Yoga che supporta lo sviluppo di una sana consapevolezza ciclica e mestruale ha sicuramente molto da insegnarci su noi stesse, e questo non significa essere meno "disciplinate", meno ligie alle regole, ma al contrario andare al cuore pulsante della nostra pratica e della nostra essenza come donne.
Potete trovare le indicazioni pratiche nei dettagli a questo link:
https://www.yogidia.com/lucia-taddei/sequence/la-pratica-yoga-nei-giorni-del-ciclo-mestruale
- Pinterest image: Sacred Womb Rituals -
"The world needs our strength, but it needs the strength of Women, not the pseudo-strength of pseudo-men."
LARA OWEN
IN CAMMINO SULLA VIA FEMMINILE DELLO YOGA
Credo che la mia personale "scoperta" di una via femminile dello Yoga sia stato il naturale approdo del mio viaggio attraverso questa meravigliosa disciplina e filosofia, iniziato più di venti anni fa. Abbracciare questa via particolare è stato spontaneo come il processo di maturazione di un frutto, ma ci sono voluti anni perché è anche una sintesi delle mie esperienze di praticante, del percorso formativo che ho intrapreso come insegnante, ed infine della mia esperienza di donna nel mio rapporto con la femminilità e nel passaggio attraverso le diverse stagioni della vita.
Dal 2013 infatti, sulla soglia dei quarant'anni e grazie ad una serie di circostanze di vita, intense esperienze di viaggio in India ed incontri speciali , ho iniziato sempre più ad interessarmi e ad accogliere una visione dello Yoga al Femminile.
La maggioranza dei praticanti in occidente è costituita da donne, ed io stessa come insegnante mi sono rapportata in questi sedici anni soprattutto a delle allieve, così ho iniziato ad interrogarmi sul senso di questo binomio Yoga /Femminilità. Cominciai a riflettere per la prima volta sul fatto che questa disciplina in passato e specialmente nelle forme codificate classiche ed ortodosse era riservata solo agli uomini.
Uno “ yoga da uomini per gli uomini”, fatta eccezione per alcune correnti tantriche e sull’ipotesi sempre più verosimile di uno Yoga originario, sciamanico, pre-vedico, risalente al Paleolitico e Neolitico, frutto di un'antichissima cultura matriarcale.
E’ inoltre un dato di fatto che lo Hatha Yoga moderno e contemporaneo o parte di esso (posturale), nei suoi molteplici stili, sia praticato per la maggior parte da donne, sebbene i metodi ed i lignaggi di riferimento siano soprattutto maschili e l’approccio a questa disciplina continui a seguire principalmente un paradigma maschile, salvo poche eccezioni.
Anni fa questa nuova consapevolezza fece emergere anche nel mio percorso individuale, una “dissonanza” che prima non avevo mai avvertito.
Io stessa all’inizio della mia pratica e per diversi anni di seguito, mi dedicai con entusiasmo e grande slancio ad uno stile di yoga originario del sud dell’India , oggi più conosciuto e diffuso di quanto non lo fosse negli anni novanta, l’Ashtanga Vinyasa secondo la tradizione di Sri Patthabi Jois, che è un metodo molto dinamico e marziale.
Ricordo che grazie ad una pratica intensa e costante Il mio corpo minuto ed esile si era notevolmente fortificato, con tutti quei chaturanga, jump back , jump through, avevo sviluppato dei bicipiti e tricipiti quasi da bodybuilder! Sono grata a questo metodo così rigoroso, vigoroso e lineare perché mi fu molto d’aiuto all’epoca che ero una ragazza di vent’anni per purificarmi da tutte le tossine che accumulavo incautamente a causa di uno stile di vita non sempre salutare e corretto.
E’ stato l’inizio di un processo di trasformazione che ha iniziato a plasmarmi ed ha senza dubbio contribuito ad accrescere la consapevolezza ed il rispetto per il mio corpo e la fiducia in me stessa. Ma dopo otto anni, mi accorsi di essere alla ricerca di un cambiamento, alla ricerca di qualcosa di diverso che non sapevo ancora definire. Solo più tardi mi resi conto che le sensazioni dissonanti che avvertivo, erano proprio il segnale che inconsapevolmente cominciavo a sentire che stavo nutrendo con quel tipo di pratica e con quel tipo di atteggiamento del “fare bene e progredire nella sequenza” solo la parte maschile di me stessa, dimenticando però quella femminile. Il mio corpo prima ancora della mia mente aveva percepito la necessità di un bilanciamento.
Iniziando il cammino formativo con la FIY, ho così voltato pagina ed ho iniziato a studiare le tradizioni del nord dell’India, in particolare la scuola di Swami Sivananda ed il suo ricco lignaggio, come la scuola di Swami Satyananda e Swami Vishnudevananda,
e gli insegnamenti dei primi pionieri europei dello Yoga in occidente,
come André e Denise Van Lysebeth.
Incontrai uno Yoga molto diverso rispetto a quello cui ero abituata, sicuramente più lento, statico e meditativo, molto più incentrato sull’ascolto piuttosto che sugli allineamenti e la forza. Incentrato sull’essere nello Yoga e lasciare che la pratica “accada”
piuttosto che sul “fare yoga”.
Negli anni successivi attraverso il prezioso incontro e confronto con maestre italiane ed internazionali che approfondivano l’aspetto simbolico e femminile, diversi viaggi nei luoghi della spiritualità indiana, studi sulla tradizione tantrica e sugli archetipi della femminilità con particolare riferimento alle dee della tradizione indiana, la lettura di libri di autrici pioniere di questa visione innovativa , ho capito che il mio percorso stava prendendo decisamente una nuova entusiasmante direzione.
Tutto cominciò con la domanda che rivolsi sinceramente a me stessa un giorno, la mia pratica e anche il mio modo di insegnare rispettano il mio essere donna e onorano la femminilità?
Credo che forse a venti a trent’anni si pensi poco a questo, ma sinceramente quando ci si incammina sulla strada verso la mezza età e ci si prepara ad uno nuovo importante punto di svolta nella vita di una donna, penso che la prospettiva cambi decisamente.
Mi sono chiesta se lo Yoga potesse essere una via per valorizzare l’Essenza del Femminile in ognuna di noi, per riconoscere la nostra natura ciclica ed apprezzarne i suoi doni unici , per comprendere il legame speciale che ci lega le une alle altre come sorelle e che ci lega alla terra come nostra Madre.
La risposta che ho maturato è che sì lo Yoga oggi può essere anche un percorso esperienziale di maggiore conoscenza e comprensione dedicato alle donne che sono alla coraggiosa ricerca di sé stesse al di là dei ruoli ricoperti nella società.
Una via per scoprire il proprio potenziale e la capacità di espressione della propria creatività, della propria libertà di essere ciò che siamo, al di là dei condizionamenti stereotipati che la società ci propina e che spesso impone un “dover essere” nel quale non ci riconosciamo. Una pratica yogica che esprime e celebra la complessità, la ricchezza, la bellezza dell’essenza femminile nelle sue molteplici sfumature e costituisce il terreno fertile per coltivare i semi dell'accoglienza, accettazione, compassione, grazia, gentilezza, radicamento, resistenza, coraggio. Una pratica per ritrovare un'intima fiducia in noi stesse, nell’intelligenza del corpo e nella sua innata capacità di rigenerarsi e guarire e per sintonizzarci sulle frequenze della saggezza del cuore che sa rendere luminosa la mente.
Lo Yoga al Femminile può essere un percorso iniziatico fatto da donne per le donne nel loro naturale cammino attraverso i cicli e le fasi della vita. Un rituale vissuto attraverso il corpo e la mente, per riconoscere la nostra unicità, il nostro valore e la nostra intrinseca natura di ricercatrici, maestre di Vita , iniziatrici.
Anch’io ho vissuto questo bisogno pressante di accettazione e riconciliazione con me stessa e con il mio essere “donna in questo mondo”, anche se in un modo meno drammatico rispetto ad altre donne, le cui storie mi hanno toccato profondamente ed hanno contribuito ad ispirare ed indirizzare negli anni il mio cammino in questo senso.
Ciò che insegno oggi è anche la condivisione di questa mia esperienza personale, che per alcuni aspetti riguarda diverse generazioni di donne ed il contesto socio-culturale all’interno del quale sono cresciute e che ci ha ovviamente profondamente condizionate attraverso tutta una serie di modelli inadeguati, di tabù e false credenze.
La via femminile dello Yoga di oggi è figlia di questi tempi e del nostro attuale modo di vivere. Non è una voglia di rivalsa storica rispetto ad una cultura patriarcale che sembra aver fagocitato tutte le tracce di un’ancestrale sapienza femminile, anche in ambito yogico , quanto piuttosto l’ascoltare e dare voce ad un bisogno condiviso da molte donne, che sentono di voler esprimere la verità del proprio mondo interiore nel prezioso dialogo e confronto con la comunità femminile e nel rapporto con il maschile.
Infine, credo che la storia dello Yoga e delle sue vie tradizionali segua un suo ordine superiore che trascende i singoli momenti storici della sua evoluzione e trasformazione, e che in ultima analisi sia a livello micro che macro cosmico sia proprio l’armonioso ricongiungersi del Femminile con il Maschile, dello Spirito con la Materia, di Energia e Coscienza, di Shiva e Shakti, l’auspicabile destinazione finale.
Probabilmente anche quella che stiamo vivendo attualmente è una “fase transitoria” di un disegno molto più grande ed imperscrutabile, ma comunque anche nel nostro piccolo possiamo promuovere un cambiamento ed un rapporto più equilibrato ed equanime tra le parti, nell’eterno gioco tra le polarità opposte e complementari .
Sebbene sia davvero ardua l’impresa di far rivivere oggi fedelmente quelle antiche tradizioni che sono state peraltro volutamente occultate e rese inaccessibili, in cui la donna attraverso la sacralità del suo corpo e le sue speciali siddhi , era considerata yogini, sciamana, guaritrice, guru, ed essa stessa come Dea, poiché espressione della onnipervadente Energia creativa femminile, la Shakti. Possiamo comunque ripartire da noi stesse e dal momento presente, da un punto preciso che è il nostro ri-connetterci consapevolmente alla Terra, alla nostra natura ciclica che da sempre esiste e ci accomuna e che contiene già in se stessa la potenzialità di una genuina pratica spirituale.
Mi auguro che ciò possa essere una delle vie possibili, per restituire passo dopo passo valore e bellezza al Femminile e iniziare ad amarlo, ad amarci noi per prime, in modo autentico e gioioso e contribuire così alla fioritura di una vera e piena Umanità.
Questa è la mia speranza e l’augurio che faccio di cuore a tutte le yogini che vorranno camminare con me lungo questo nuovo appassionante sentiero.
Namaste
Lucia
Apsara scultura, Uttar Pradesh- Wikimedia Commons Image
"Se ci dovrà essere un futuro, indosserà una corona di disegno femminile. "
SRI AUROBINDO
SIAMO CIÒ E COME MANGIAMO
Siamo ciò e come mangiamo. Questo concetto ha grande importanza nella disciplina dello Yoga e nell'Ayurveda, ed infatti in uno dei testi fondamentali di riferimento, lo Hatha Yoga Pradipika ( La lucerna dello hatha yoga ), si parla della quantità e della qualità del cibo da assumere affinché esso sia un sostegno per la nostra pratica e non un ostacolo. In particolare in questo testo troviamo delle linee guida essenziali per regolare il nostro rapporto con il cibo che rappresenta la prima forma di interazione con il mondo esterno e dalla quale sono poi influenzate tutte le altre forme. Fondamentale è il concetto di Mitahara, che significa cibo moderato o moderazione nel cibo. Si dovrebbe mangiare solo quando si ha fame e lo stomaco non dovrebbe essere riempito completamente, ma solo per tre quarti, lasciando un quarto per la circolazione del cibo stesso e dell'aria. Questa forma di autoregolazione interna dell'organismo che dovrebbe essere perfettamente naturale e spontanea, dovuta semplicemente all’innata saggezza del nostro corpo, oggi è molto difficile da attuare per la maggioranza delle persone poiché il cibo da nutrimento si è trasformato in una valvola di sfogo attraverso cui scaricare emozioni represse come rabbia, ansia, frustrazione, noia. Il cibo è diventato un surrogato spesso qualitativamente scadente per soddisfare una “fame di qualcos'altro” che sentiamo mancare nella nostra vita, che sia affetto, amore, attenzione, apprezzamento, sessualità ecc. Ovviamente questi meccanismi di compensazione sono ampiamente noti all'industria alimentare e vengono continuamente stimolati e inculcati dai messaggi pubblicitari da cui siamo costantemente bombardati. Come possiamo uscirne? La pratica costante e continuata delle tecniche psicofisiche dello hatha yoga come le posture fisiche, le tecniche respiratorie, di rilassamento, concentrazione e meditazione può aiutarci in modo concreto a ristabilire la connessione con la saggezza del nostro corpo, in modo da saperlo ascoltare e rispettare. Uno dei benefici di una pratica costante è quello di saper riconoscere ed avvertire chiaramente il senso di fame e quello di sazietà. Attraverso una maggiore consapevolezza del corpo e dei suoi processi fisiologici, impariamo ad evitare gli eccessi alimentari oppure di usare il cibo compulsivamente come valvola di sfogo. Inoltre è molto importante anche lo stato d'animo con cui si assume il cibo. Mangiare di fretta, con tensione, rabbia o con senso di colpa è molto dannoso per il nostro sistema, visto che con il cibo ingurgitiamo anche le tossine di queste emozioni dannose, con inevitabili ripercussioni negative sia a livello fisico che mentale. È fondamentale quindi mangiare quanto più possibile in un’atmosfera serena, evitando l'interazione con i social media, masticando bene e lentamente ( dall'inizio del pasto devono trascorrere all'incirca 20 minuti affinché al cervello arrivino i primi segnali di sazietà) , con uno stato d'animo calmo e rilassato, in modo che l'atto stesso di nutrirsi diventi un gesto pienamente consapevole.
Con il tempo si acquisirà naturalmente anche la capacità di evitare i cibi che non sono adatti al nostro corpo e quelli che sono di ostacolo alla pratica yogica, privilegiando solo quelli che invece sono nutrienti, ricchi di prana (energia vitale) e che possiedono le qualità sattviche di purezza, leggerezza, digeribilità.
Nella tradizione spirituale dell'India il cibo prima di essere consumato viene offerto in dono al Divino come Prasadam e poi viene mangiato con devozione e gratitudine, riconoscendone cioè l”intrinseca natura divina. Il cibo così offerto è manifestazione di Brahman, dell’Assoluto di cui noi stessi siamo parte.
Il nostro corpo tende naturalmente verso l'equilibrio, lo stato di omeostasi. La pratica costante dello hatha yoga, attraverso il cammino dell'ascolto di noi stessi e della consapevolezza, può costituire una via per ritrovare questo equilibrio laddove esso sia disturbato o compromesso.
Il corpo è come un tempio, abbiamo noi stessi la responsabilità di prendercene cura poiché è il luogo del nostro risveglio spirituale.
LE ORIGINI ED IL SIMBOLISMO DEL SURYANAMASKAR, IL SALUTO AL SOLE
L’espressione surya- namaskar è composta dalle parole sanscrite surya- sole e namaskar- saluto o omaggio e significa quindi “saluto al sole”. Si tratta senza dubbio di una delle pratiche più conosciute e diffuse del mondo dello Hatha Yoga, tuttavia la questione delle origini è ancora assai incerta e dibattuta . I tradizionalisti sostengono che la sequenza abbia almeno 2500 anni e che sia nata in epoca vedica (intorno al 1500- 500 a.C.) come rituale di adorazione del sole all’alba accompagnato dalla recitazione di mantra, offerte di riso, fiori e libagioni d’acqua. Altri sostengono invece che si tratti, perlomeno nella sua forma attuale, di una pratica relativamente “giovane” se paragonata alla nascita dello Yoga che si perde nella notte dei tempi e considerando che non è menzionata nei testi classici della tradizione. Tuttavia proprio in virtù delle sue caratteristiche il Saluto al sole è un esercizio che fa parte a pieno titolo delle pratiche yogiche in quanto è uno dei metodi più utili per indurre una vita sana e vigorosa e allo stesso tempo per preparare il risveglio spirituale e l’espansione della consapevolezza.
Un’altra interessante teoria invece attribuisce l’origine del Suryanamaskar ai Parsi, popolo che fu devoto ad un'unica divinità, Ahura Mazda, chiamato Signore della Luce e del Cielo. Nel VII secolo a.C. i seguaci di questa religione monoteista, il mazdeismo appunto, per sfuggire all’invasione islamica in Persia si rifugiarono in India e si stabilirono a Bombay, inserendo così nel repertorio delle pratiche yogiche un rituale solare costituito da una serie di posizioni che nell’antichità venivano invece eseguite separatamente.
La forma attuale del Suryanamaskar, così com’è praticato nella maggioranza delle scuole e nelle sue innumerevoli varianti, sembra essere invece un’acquisizione recente dello Hatha yoga risalente agli inizi del novecento quando fu ideato dal Raja di Aundh (antico stato dell’India che oggi fa parte dell’attuale Maharashtra) e poi diffuso in Occidente negli anni venti e trenta del secolo scorso e successivamente negli anni settanta grazie ad un testo scritto da un autore indiano Apa P. Pant .
Nel caso del Suryanamaskar come per altre posizioni classiche dello Hatha yoga, storia e leggenda, tradizione e mito s’intrecciano fino a sfumare i propri confini e si narra perciò che il saggio Vishvamitra ( letteralmente “amico del mondo”) insegnò a Rama questa serie di posizioni accompagnate dai mantra alla vigilia della battaglia contro Ravana e proprio la conoscenza del suryanamaskar permise a Rama di sconfiggere il nemico più forte e superiore in armi e di diventare il re della stirpe solare del Ramayana. Altrove si narra, invece, che il Saluto al Sole fosse l’antico saluto dei Guerrieri del Sole che lo eseguivano affinché l’energia solare penetrasse in loro. La tradizione lo attribuisce al Maestro Drona che lo insegnò ai giovani principi Pandava e Kaurava per istruirli all’arte della guerra e soprattutto per insegnare loro ad affrontare il vero nemico cioè le avversità che la vita ci pone davanti e che questa pratica aveva il pregio di aiutare a superare .
Nella cultura indiana il Saluto al Sole è una pratica che ci viene tramandata dai saggi dei tempi vedici che nei loro rituali quotidiani adoravano il sole come simbolo della coscienza spirituale. La venerazione del sole esteriore ed interiore come naturale e primitiva forma di espressione dell’uomo, era un rituale sociale e religioso che serviva a placare le forze della natura oltre a rendere omaggio al sole come fonte di Vita ed Energia. Questi saggi illuminati constatarono come questa serie di esercizi contribuiva al mantenimento della salute e nel contempo favoriva una migliore convivenza sociale.
Si dice che ci siano tanti modi diversi per eseguire il Saluto al Sole quanti yogin sotto il sole. A parte delle piccole diversità, le dodici posizioni basilari che formano un semi ciclo sono le stesse. Ci sono due momenti privilegiati per praticare il Suryanamaskar e sono l'alba ed il tramonto, se è possibile rivolti verso il sole. Tuttavia ogni altro momento della giornata è buono purché a stomaco vuoto. Per iniziare si possono eseguire 2/4/6 cicli completi sincronizzando il respiro con il movimento fluido come in una danza, e poi con gradualità e costanza si può aumentare fino a dodici che rappresenta l'ottimo in questa pratica meravigliosa di rivitalizzazione solare, che costituisce una Sadhana, cioè una pratica spirituale completa in se stessa. Al termine dei cicli ci si può distendere sul dorso in shavasana ad occhi chiusi ed osservare il respiro spontaneo.
YOGA E LE NOSTRE EMOZIONI
Chi pratica Yoga da tempo sa bene per esperienza, che a volte può capitare di sentire un improvviso bisogno di piangere, proprio mentre si sta mantenendo un asana, oppure durante l’esecuzione di una tecnica di pranayama, talvolta mentre si è distesi a terra durante il rilassamento finale o perfino durante la meditazione. Per quanto possa sembrarci strano all’inizio, è qualcosa di assolutamente normale, ed è bene che ciò accada anche se troviamo la cosa imbarazzante se non addirittura inquietante per via dei preconcetti e condizionamenti che abbiamo verso noi stessi e verso il pianto. Capita spesso che ci si spaventi di fronte a questa inaspettata eventualità, che invece dovremmo riconoscere come una vera e propria benedizione. Lo Yoga come disciplina olistica ha un profondo effetto su ogni dimensione che compone l’individuo, quella fisica, emotiva, mentale e spirituale e ne riconosce soprattutto l’intima interconnessione ed interdipendenza.
Le posizioni di Yoga ad esempio agiscono non solo sul piano fisico, ma anche su quello emotivo, energetico, mentale, e fungono come da catalizzatori dell’alchimia che ha luogo nel nostro organismo, facendo emergere ciò che è latente, sbloccando ciò che è bloccato. Piangere è una forma di espressione delle nostre emozioni più profonde e di purificazione sia fisica che mentale. Un modo naturale e sano per attraversare e metabolizzare ciò che altrimenti rimarrebbe imprigionato dentro di noi. Piangere significa permettere ad ansia, rabbia, angoscia di attraversare il nostro corpo come un’onda e di uscire attraverso le lacrime, piuttosto che bloccare queste emozioni in una parte del corpo, per mesi o per anni, finché poi il dolore accumulato a lungo non si trasformi e si manifesti sotto forma di disagio o malattia.
Pensiamo ai bambini che non avendo ancora inibizioni e condizionamenti culturali si sfogano liberamente attraverso il pianto, per poi tornare a sorridere una volta che tutto è passato. Anche quando diveniamo adulti dovremmo ricordarci di quella innata capacità di abbandonarci ad esso, ma in modo consapevole e senza giudizi verso noi stessi, senza vergogna né senso di colpa, semplicemente restando con l’emozione del momento, senza lottare contro di essa, passarci attraverso in piena presenza mentale, in un pianto liberatorio e purificante tanto per il corpo che per la mente. Osho diceva che il pianto è come una bella doccia dell’anima: quando è finito, ne usciamo freschi e leggeri e pienamente rigenerati.
LO YOGA NON E' UNA PILLOLA
Alcune persone che si avvicinano per la prima volta allo Yoga in un periodo di grande stress e tensione, spesso lo fanno con la forte aspettativa che i propri problemi psicofisici si risolvano magicamente in un baleno, come appunto prendendo una pillola.
Succede talvolta quindi che, dopo appena un mese di frequentazione delle lezioni, alcuni credano disattese le proprie aspettative e che arrivino alla conclusione che lo Yoga non faccia per loro.
Si tratta ovviamente di una conclusione affrettata e spesso sbagliata.
In realtà lo Yoga con la sua ricchezza e completezza di tecniche può migliorare la qualità della nostra vita in modo tangibile e duraturo, tuttavia è necessario lasciare da parte l’ansia di voler ottenere tutto e subito e puntare piuttosto sulla costanza della pratica. E’ necessario soprattutto concedersi del tempo. L’impazienza, il non saper attendere, può essere un grande ostacolo per chi si avvicina a questa disciplina per la prima volta. Pensandoci bene però, se un blocco fisico o psicologico ha impiegato decenni per consolidarsi, come possiamo pretendere che si risolva dopo qualche settimana?
Diversi studi dimostrano, infatti, che i primi benefici di una pratica regolare di 1/2 lezioni alla settimana arrivino dopo una frequenza che va dai tre ai sei mesi.
Per questo continuità e perseveranza sono fondamentali se si intende progredire passo dopo passo con un’andatura costante che ci permetta di gioire dei nostri piccoli grandi successi e di accettare serenamente i nostri limiti del momento, senza sentirsi frustrati o demotivati.
Se si riesce a superare questo primo scoglio iniziale, allenandosi all’ascolto di se stessi, del corpo e del proprio mondo interiore, questa consapevolezza diverrà una solida base per un reale e costruttivo progresso.
Lo yoga non è una pillola che prendiamo svogliatamente rimanendo passivi e aspettando che faccia effetto. Lo yoga è una disciplina che parte da un impegno che prendiamo attivamente con noi stessi ogni giorno e che ci rende pienamente consapevoli e responsabili della nostra vita, fautori delle nostre scelte e del nostro benessere. Lo Yoga è pratica.